Dizionario Di Ebraico Biblico
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Il Dizionario di ebraico biblico è stato il regalo che mi son fatto per questo Natale 2020. Lo sto già usando con grande soddisfazione. I termini ebraici ben evidenziati in neretto, consentono la lettura anche a chi, come me, ha la vista indebolita. Ho molto apprezzato anche il Dizionario onomastico posto in appendice al volume.
Strumento efficace, completo e agile per chi si accosta allo studio dall'ebraico biblico. Di alto valore scientifico presenta un'analisi morfologica completa dei lemmi più complessi, corredata da esempi, espressioni caratteristiche, citazioni e sinonimi.
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Questo è il primo ampio dizionario scientifico italiano di ebraico biblico. Si basa sul lavoro previo di una traduzione letteraria completa della Bibbia ed è realizzato secondo i più moderni criteri linguistici. I significati di ogni vocabolo sono organizzati secondo criteri di logica semantica, tenendo conto del fattore stilistico, componente fondamentale del linguaggio letterario. Tramite una disposizione grafica chiara e intuitiva, ogni lemma propone quindi diversi tipi di informazione: morfologica (varianti possibili, coniugazione, declinazione), sintattica (modismi, fraseologia) e semantica (diverse accezioni, sinonimi, antonimi, informazione sul campo semantico a cui il termine appartiene. Frutto maturo di un maestro della stilistica e della poetica ebraica, è lo strumento indispensabile per chiunque voglia imparare ad apprezzare la bellezza letteraria dei testi biblici. Ogni traduttore troverà in esso i suggerimenti essenziali per superare l'inganno linguistico che va sotto il nome di traduzione letterale, che consiste nell'astrarre la parola singola dal suo uso e pietrificarla in un concetto unico e immutabile, che domina poi la traduzione. Il Dizionario curato da Alonso Schökel permette insomma di conservare la vivezza di termini e immagini e conferire brillantezza alle parole dissecate sulle sue pagine. L'edizione italiana è il frutto di cinque anni di ideazione e lavorazione, da parte di biblisti ed ebraisti che hanno conosciuto L. Alonso Schökel, ne hanno seguito i corsi, ne hanno apprezzato le doti umane e scientifiche. Uno strumento indispensabile per chiunque voglia imparare ad apprezzare la bellezza letteraria dei testi biblici.
Nel Tanakh (תנ"ך, abbreviazione di Torah, Nevyim e Khetubbim, "Legge, Profeti e Scritti") viene ricordato il nome Eber (עבר), attribuito a un antenato del patriarca Abramo (Genesi 10.21[4]). Sulla stessa radice, nella Bibbia ricorre più volte la parola עברי (ivri, "ebreo"), sebbene la lingua degli Ebrei nelle Scritture non venga mai detta ivrit a significare "ebraico".[5]
Per quanto il testo più famoso scritto in ebraico sia la Bibbia, il nome della lingua impiegata per la sua redazione non vi viene menzionato. Comunque, in due passi delle Scritture (2 Re 18.26[6] e Isaia 36.11[7]), si narra di come i messi del re Ezechia chiedessero a Ravshaqe, l'inviato del re assiro Sennacherib, di poter parlare nella lingua di Aram (ארמית, aramit) e non nella lingua della Giudea (יהודית, yehudit). Tale richiesta era volta a evitare che il popolo, il quale apparentemente non doveva comprendere la prima, potesse capire le loro parole. È dunque possibile che il secondo termine ricordato possa essere stato il nome attribuito allora alla lingua ebraica o, quantomeno, quello del dialetto parlato nell'area di Gerusalemme.[2][8]
Originariamente, quella ebraica fu la lingua utilizzata dagli Ebrei quando ancora vivevano in maggioranza nel Vicino Oriente. Si stima che circa duemila anni fa l'ebraico fosse già in disuso come lingua parlata, venendo sostituita dall'aramaico.
In ebraico furono scritti i libri della Bibbia ebraica (tranne alcune parti dei libri più recenti, come il Libro di Daniele, scritte in aramaico biblico), tutta la Mishnah, la maggior parte dei libri non canonici e gran parte dei Manoscritti del Mar Morto. La Bibbia fu scritta in ebraico biblico, mentre la Mishnah fu redatta in una varietà tarda della lingua, detta appunto "ebraico mishnaico".[2]
Durante il periodo del Secondo Tempio o poco più tardi (non esiste consenso in merito tra gli accademici), la maggior parte degli ebrei abbandonò l'uso quotidiano dell'ebraico come lingua parlata in favore dell'aramaico, divenuta lingua internazionale del Vicino Oriente. Una ripresa dell'ebraico come lingua parlata si ebbe grazie all'azione ideologica dei Maccabei e degli Asmonei, in un tentativo di contrapporsi alla forte spinta ellenizzante di quell'epoca, e più tardi durante la rivolta di Bar Kokhba; furono sforzi inutili, in quanto l'ebraico non veniva più capito dalla massa. Centinaia di anni dopo il periodo del Secondo Tempio, la Ghemarah venne composta in aramaico, così come i midrashim.[9]
Nei secoli seguenti gli ebrei della diaspora continuarono ad adoperare questa lingua solo per le cerimonie religiose. Nella vita di tutti i giorni gli ebrei si esprimevano, invece, in lingue locali o in altre lingue create dagli stessi ebrei nella diaspora, lingue non semitiche come lo yiddish, il ladino, il giudaico-romanesco o il giudaico-veneziano, nate dall'incontro tra l'espressione e l'alfabeto ebraico e le lingue europee; è molto interessante, ad esempio, una copia di un Aggadà di Pesach scritta in veneziano in caratteri ebraici verso il XVIII secolo.[2]
Inoltre, anche quando l'ebraico non rappresentò più la lingua parlata, esso continuò a fungere di generazione in generazione, durante tutto quello che viene detto il periodo dell'ebraico medievale, da strumento principale di comunicazione scritta degli ebrei. Il suo status tra gli ebrei allora era analogo a quello del latino in Europa Occidentale tra i cristiani. Ciò soprattutto in questioni di natura halachica: per la stesura dei documenti dei tribunali religiosi, per le raccolte di halakhot, per i commenti ai testi sacri ecc. Anche la stesura di lettere e contratti tra ebrei veniva spesso effettuata in ebraico; poiché le donne leggevano l'ebraico, ma non lo comprendevano perfettamente, la letteratura halachica ed esegetica loro destinata nelle comunità ashkenazite veniva scritta in yiddish (si pensi ad esempio al testo Tseno Ureno). Anche le opere ebraiche di natura non religiosa o non halachica venivano composte nelle lingue degli ebrei o in lingua straniera.[9] Ad esempio, Maimonide scrisse il suo Mishne Torah in ebraico, mentre la sua famosa opera filosofica La guida dei perplessi, destinata agli eruditi del suo tempo, fu composta in giudeo-arabo. Comunque, le opere di soggetto laico o mondano venivano ritradotte in ebraico, se di interesse per le comunità ebraiche di altra lingua, come appunto nel caso de La guida dei perplessi.[10] Tra le famiglie più famose per essersi occupate di traduzione dal giudeo-arabo all'ebraico durante il Medioevo furono gli Ibn Tibbon, una famiglia di rabbini e traduttori attiva in Provenza nel XII e XIII secolo.[11]
Contemporaneamente al movimento del risorgimento nazionale, cominciò anche l'attività volta a trasformare l'ebraico nella lingua parlata della comunità ebraica in Terra d'Israele (gli Yishuv) e per gli ebrei che immigravano nella Palestina ottomana. Il linguista e appassionato che diede attuazione pratica all'idea fu Eliezer Ben Yehuda, un ebreo lituano che era emigrato in Palestina nel 1881. Fu lui a creare nuove parole per i concetti legati alla vita moderna, che nell'ebraico classico non esistevano. Il passaggio all'ebraico come lingua di comunicazione degli Yishuv in Terra d'Israele fu relativamente rapido. Parallelamente l'ebraico parlato venne sviluppandosi anche in altri centri ebraici dell'Europa Orientale.[9] 781b155fdc